Sulla “Infinita” rigidezza dei solai – Parte I

Nell’analisi sismica degli edifici grande importanza, ai fini della ripartizione delle sollecitazioni, assume la possibilità di considerare gli orizzontamenti infinitamente rigidi.  L’infinita rigidezza nel piano orizzontale dei solai, costituendo un vincolo mutuo tra i nodi della struttura, infatti consente di ripartire le sollecitazioni sismiche tra i vari elementi resistenti in funzione della rigidezza di quest’ultimi e considerare agente ad ogni livello direttamente l’azione complessiva proporzionale alla massa ivi proporzionale a quel livello.

Se i diaframmi orizzontali, tenendo conto delle aperture in essi presenti, sono sufficientemente rigidi, i gradi di libertà dell’edificio possono essere ridotti a tre per piano, concentrando masse e momenti di inerzia nel centro di gravità di ciascun piano

La possibilità di considerare l’implacato infinitamente rigido dunque consente di adottare una serie di semplificazioni tali da essere diventata, per alcuni, quasi una condizione necessaria e propedeutica per il calcolo della struttura. Di conseguenza, condizione necessaria è diventata anche la realizzazione di solai con solette in c.a. di spessore minimo stabilito. Ciò in conseguenza  di quanto riportato nel  punto 7.2.6. delle NTC :

“…Gli orizzontamenti possono essere considerati infinitamente rigidi nel loro piano, a condizione che siano realizzati in cemento armato, oppure in latero-cemento con soletta in c.a. di almeno 40 mm di spessore, o in struttura mista con soletta in cemento armato di almeno 50 mm di spessore collegata da connettori a taglio opportunamente dimensionati agli elementi strutturali in acciaio o in legno e purché le aperture presenti non ne riducano significativamente la rigidezza…”

Iniziamo col dire che a rigore l’ipotesi di infinita rigidezza andrebbe comunque verificata a posteriori anche per solette realizzate con gli opportuni spessori.

Si pensi, ad esempio, ad un impalcato realizzato  con sensibili restringimenti per il quale l’ipotesi di infinita rigidezza risulta meno attendibile a causa della deformazione che, nella zona più debole, può produrre notevoli variazioni di forma dell’intero impalcato. La presenza di restringimenti dell’impalcato non è una evenienza così remota come si potrebbe immaginare in quanto già la semplice presenza della scala, a meno che non si tratti di “scala Giliberti”, può comportare una variazione sensibile della pianta dell’impalcato. Anche la presenza di pareti in calcestruzzo o di tamponature molto rigide può far ridurre l’attendibilità di questa ipotesi.

Senza però voler inutilmente complicarsi la vita, soprattutto in presenza di un punto normativo che la semplifica, si vuole tralasciare questo discorso in favore di un altro diametralmente opposto.

La condizione imposta dal punto 7.2.6 delle NTC deve ritenersi condizione necessaria o solo sufficiente? Ossia un solaio non dotato di soletta rispettosa di quei parametri dimensionali, può considerarsi infinitamente rigido?

Il quesito può sembrare banale ad un occhio meno esperto ma certamente non a chi è abituato ad operare su strutture esistenti o con materiali di nuova generazione.

Si pensi a quelle strutture con altezze di interpiano limitate per le quali ogni centimetro di luce libera può essere prezioso oppure a quegli interventi eseguiti con malte fibrorinforzate, di tecnologia avanzata ma anche di costo elevato, per i quali la riduzione di un centimetro di spessore equivale ad un sensibile risparmio.

E’ bene ricordare che, dal punto di vista ingegneristico, il concetto di infinito può rappresentare anche la semplice differenza tra due misure che differiscono tra loro di uno o più ordini di grandezza, dunque per il solaio la rigidezza infinita può e deve essere valutata in funzione della rigidezza degli elementi  che in esso concorrono. Se pertanto la rigidezza del solaio dovesse risultare sensibilmente superiore a quella degli elementi con esso collegati si può parlare di “rigidezza infinita” al di la dello spessore della soletta con cui questo è stato realizzato.

E’ necessario a tal fine eseguire una doppia verifica, volta sia alla valutazione della deformabilità dell’impalcato sia alla sua resistenza. Nel primo caso si determinerà la deformazione del solaio e la si rapporterà a quella del complesso spaziale, mentre nel secondo si valuterà se l’impalcato è sufficientemente resistente per sopportare le relative deformazioni.

Verifica di deformabilità

Prima ancora di parlare di deformabilità/rigidezza andrebbe approfondito il tema della scelta dello schema di calcolo. Si potrebbe infatti considerare la struttura semplicemente come uno schema di travi ei pilastri oppure associare ad essi gli elementi di tompagnatura. In quest’ultimo caso poi si potrebbe considerare la tompagnatura reagente in toto o solo in alcuni elementi.

Tralasciando questo approfondimento, che richiederebbe ben altro tempo, è abbastanza immediato comprendere come l’impalcato, per quanto rigido, subisca delle deformazioni che comportano lo spostamento dei telai piani, diversamente da quanto ipotizzato nel modello di calcolo.

Secondo quanto riportato nell’Eurocodice 8 § 4.3.1. “La membratura è considerata rigida, se, quando è modellata con la sua flessibilità reale nel piano, i suoi spostamenti orizzontali non superano in nessun punto quelli che risultano dall’ipotesi di membratura rigida per più del 10% degli spostamenti orizzontali assoluti corrispondenti nella situazione sismica di progetto”. Il che pare abbastanza chiaro e semplice da verificare.

Un altro approccio consiste nel confrontare la deformazione del singolo impalcato con lo spostamento relativo tra due impalcati, fornito dalla risoluzione del telaio spaziale, in tal modo  è possibile valutare se la prima quantità risulta trascurabile e dunque se l’impalcato è “infinitamente rigido”. Ora quale sia il rapporto accettabile tra le due deformazioni ai fini della “infinita rigidezza” è una scelta del singolo tecnico; i proff. Ghersi e Lenza [1] ritengono che un rapporto pari a 0,1 -0,05 sia sufficiente per sostenere tale ipotesi.

La verifica può essere effettuata adottando il modello di piastra o di trave a seconda della forma in pianta dell’impalcato. Il modello a piastra, certamente più rigoroso dal punto di vista teorico, risulta anche più laborioso computazionalmente mentre quello a trave alla De Saint Venant, pur essendo teoricamente meno raffinato, consente, con un onere computativo ridotto, di ottenere risultati accettabili a patto che nel calcolo si consideri la deformabiltà tagliante.

[1] Ghersi Aurelio; Lenza Pietro “Edifici antisismici in cemento armato”  Dario Flaccovio

 

Verifica di resistenza

Poiché gli impalcati hanno il compito di ripartire l’azione sismica tra i vari telai della struttura è naturale verificare se tale azione possa essere sopportata dal solaio nel suo stato di progetto.

Al punto 7.3.6.1 -Verifiche degli elementi strutturali in termini di resistenza- del D.M. 2008 si legge: “I diaframmi orizzontali devono essere in grado di trasmettere le forze tra i diversi sistemi resistenti a sviluppo verticale. Quando tale verifica sia necessaria si considereranno agenti sui diaframmi le forze ottenute dall’analisi, aumentate del 30%.”.

Questo perché nella gerarchia delle resistenze tra gli elementi strutturali va preservata la capacità del solaio di ripartire agli elementi verticali i taglianti di piano.

Anche in questo caso la verifica può essere effettuata adottando il modello di piastra o di trave a seconda della forma in pianta dell’impalcato. Il modello a trave, più semplice, prevede la verifica a taglio e flessione delle sezioni più sollecitate che andranno di volta in volta determinate in funzione dello schema statico (appoggi, luce, altezza della soletta, …) che si adotta.

La materia se pur teoricamente risulta chiara lascia molti dubbi applicativi quando si voglia realmente procedere alla verifica, per tale motivo la seconda parte di questo articolo riguarderà proprio un esempio di calcolo sulla verifica semplificata della rigidezza di un solaio.

4 pensieri riguardo “Sulla “Infinita” rigidezza dei solai – Parte I

  1. Altro aspetto molto importante da sottolineare e che spesso la capacita portante era determinata sulla base di prove dal vero su elementi prototipo e non semplicemente derivante dal calcolo. E immediato verificare che con le metodologie di calcolo odierne e le sezioni di progetto esistenti difficilmente si raggiungono momenti di servizio uguali a quelli dichiarati, soprattuto per mancanza di resistenza lato calcestruzzo (le verifiche erano sempre riportatate lato acciaio); la prova di carico dal vero consentiva all’epoca di sfruttare anche la capacita a compressione del laterizio altrimenti difficilmente gestibile in sede di calcolo. In generale, la verifica in campo sismico di un edificio (nuovo o esistente che sia) deve tenere conto della distribuzione delle forze orizzontali derivanti dalle masse ai piani sugli elementi portanti verticali; questa distribuzione di azioni puo essere fatta proporzionalmente alla rigidezza dei singoli elementi solo se il piano puo essere definito infinitamente rigido.

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